Cooperative City in Quarantine #9: RIFUGIATI – IT

La crisi dovuta al Covid-19 ha fatto venire alla luce in modo ancora più evidente la condizione di vulnerabilità di molti gruppi sociali svantaggiati.

Fra quelli particolarmente a rischio ci sono i rifugiati e i richiedenti asilo, che hanno poca visibilità rispetto ai loro bisogni e un accesso limitato ai servizi pubblici.

Dal 2015 Atene è diventata uno dei principali snodi di smistamento della rotta dei rifugiati, trovandosi così ad affrontare una serie di sfide: soddisfare le esigenze di decine di migliaia di persone appena arrivate, accoglierle e prepararle a una nuova vita.

In risposta a questa situazione il Comune di Atene ha introdotto una serie di iniziative innovative volte a supportare i rifugiati nello sviluppo di nuove competenze e nuove relazioni nella nuova sede. Fra queste c’è Curing the Limbo, un progetto finanziato dal programma Urban Innovative Actions dell’Unione Europea, che mette in connessione diversi interventi – istruzione, cittadinanza attiva, lavoro e alloggio – volti a favorire l’inclusione sociale dei rifugiati.

Nell’episodio #9 di Cooperative City in Quarantine abbiamo invitato i promotori del progetto Curing the Limbo ad analizzare con noi la crisi Covid-19 e l’impatto di questa sull’attuazione del loro Programma, l’attuale situazione dei rifugiati e le loro opportunità di accesso alla casa e al mercato del lavoro. L’incontro, introdotto e moderato da Levente Polyak (Eutropian), ha ospitato:

Urban Innovative Actions (UIA) è un Programma dell’Unione Europea che finanzia soluzioni originali e innovative per le maggiori sfide che le città europee si trovano ad affrontare oggi. Il Comune di Atene è partner di questo Programma da un paio d’anni, investendo molto sulla promozione delle soluzioni più efficaci per i rifugiati – per la stabilizzazione della loro nuova vita in città – attraverso l’istruzione, l’occupazione, la casa e il coinvolgimento nella vita della comunità. Ponendo in connessione questi aspetti – l’ottenimento di un nuovo alloggio come opportunità di costruirsi una nuova vita in una nuova città – Curing the Limbo si presenta come iter completo di inclusione sociale dei rifugiati.

Le linee progettuali definite da Curing the Limbo consentono a coloro ai quali è riconosciuto lo status di rifugiati di frequentare una serie di corsi di lingua, di formazione su audiovisivi e ICT, nonché per accedere alla casa e a un lavoro. Queste attività aiutano i rifugiati a sviluppare le loro competenze personali, ad entrare gradualmente nel mercato del lavoro e ad accedere agli alloggi. I rifugiati vengono inoltre incoraggiati a impegnarsi nelle attività di comunità in vari quartieri di Atene, per facilitargli la creazione di nuove reti e relazioni.

Levente PolyakQuando è stato definito il programma per Curing the Limbo avete elaborato un piano per i destinatari che includeva istruzione, acquisizione di competenze trasversali, attività audiovisive e addirittura relative alle tecnologie della comunicazione. I beneficiari avrebbero partecipato a corsi di formazione professionale e si sarebbero impegnati nella ricerca di un alloggio grazie al supporto dell’housing team, per comprendere meglio il funzionamento del mercato immobiliare e come presentarsi nell’intero processo. Ma Curing the Limbo è un programma particolare anche perché mette al centro l’impegno di cittadinanza attiva e attività di buon vicinato…

Se qualcuno accede al Programma perché intende iniziare una nuova vita ad Atene, cosa accade? Quali sono i passi che ad esempio hai fatto tu, Mohamed, per farne parte?

 

Mohamed Tayeb – Tutto è avvenuto molto velocemente. Quando mi sono messo in contatto per la prima volta con Curing the Limbo sono stato intervistato, e già dal giorno successivo ho potuto effettivamente iniziare le lezioni di greco. Mi sono state offerte anche lezioni sugli audiovisivi e ho preso lezioni di fotografia. Mi è stato, inoltre, offerto supporto per procurarmi un alloggio. Per questo ci è voluto tempo, ma alla fine l’ho avuto. Approfondire la conoscenza della società greca è stata per me un’esperienza davvero bella. Mi ritengo fortunato ad essere parte di questo Programma.

Evento di mappatura del quartiere a Victoria Square. Foto di Levente Polyak

Molte attività del progetto sono legate agli incontri in presenza. In che modo il Covid-19 ha interferito con le vostre attività e la vita dei rifugiati, per l’inevitabile interruzione dei numerosi eventi e percorsi di cui ormai facevano parte?

Antigone Kotanidi – Dopo due mesi di lavoro da casa, oggi ci troviamo a riadattare il Programma rispetto alla nuova realtà che abbiamo di fronte. Grazie all’aiuto di nuovi strumenti e alla riorganizzazione delle nostre attività, siamo riusciti a rimanere in contatto con molti partecipanti al programma, nonostante il blocco sia arrivato all’improvviso.

Al cuore di Curing the Limbo c’è uno spazio comune, un Lab, che prevede molta interazione umana. É qui che si svolgono la maggior parte degli incontri, e rappresenta anche un luogo sicuro per i membri del Programma. C’è stato un impatto sul processo dovuto all’impossibilità di condivisione fisica delle vostre attività?

 

Antigone Kotanidi – Il nostro Programma riguarda la condizione di “limbo” in cui si trovano le persone “in attesa”, che noi vorremmo supportare nel compiere i primi passi per costruirsi una nuova vita in città. Con l’arrivo dell’epidemia noi stessi siamo entrati in un limbo, e allora ci siamo domandati: in che modo possiamo utilizzare l’on-line per riconnetterci con il nostro team e i partecipanti del Programma? Le cose, in realtà, sono andate molto bene e questa situazione ci ha avvicinato gli uni agli altri. Abbiamo avuto più tempo per approfondire le mancanze del Programma, grazie ai numerosi incontri abbiamo potuto dare più spazio alla discussione su argomenti che non sempre di persona abbiamo trovato il tempo di affrontare. Mi sono domandata in che modo il nostro approccio restava comunque rilevante, nonostante la mancanza di uno spazio fisico in cui incontrarci. In che modo i servizi che offriamo rimangono importanti? Volontà e strumenti erano lì, ma non sempre è stato semplice mantenere il legame con i partecipanti: molti membri del nostro Programma non hanno una connessione ad Internet.

Visita al Victoria Square Project. Foto di Levente Polyak

Una parte importante di questo Programma riguarda l’educazione, l’apprendimento delle lingue e delle competenze. Quanto avete dovuto adattare i vostri curricola nel corso di questo periodo emergenziale?

 

Thalia Dragona – Abbiamo sperimentato l’e-learning, ma dovremmo chiamarlo “apprendimento di emergenza a distanza” (emergency remote learning) più che e-learning. Dovremmo intenderlo come un passaggio momentaneo a una modalità alternativa di apprendimento a seguito di circostanze critiche. La transizione alle attività on-line ha comportato lo sviluppo di diseguaglianze, soprattutto per un tipo di Programma come il nostro, poichè molt_ student_ non possedevano un computer. Abbiamo quindi organizzato le lezioni servendoci di WhatsApp e Viber, attraverso i cellulari, e utilizzando la piattaforma Web 2.0. Ci siamo accordati con gli/le student_ per i contenuti, per soddisfare le esigenze individuali. Abbiamo dovuto ripensare in generale il concetto di “apprendimento” e abbiamo valorizzato il tipo di formazione che eroghiamo in termini di contributo allo sviluppo della capacità di resilienza. Accompagniamo i partecipanti al Programma mano per mano in questo momento di difficoltà, e gli/le student_ lo hanno apprezzato davvero molto, ci siamo sentiti parte di una famiglia. Abbiamo sperimentato un apprendimento “senza muri”, divenendo ospiti nelle loro case.  Abbiamo, inoltre, dovuto mantenere la continuità del processo di apprendimento e investire sull’impegno sia degli/lle student_ che dei “formatori”.

Mostra dei rifugiati al mercato di Kipseli. Foto di Levente Polyak

I vostri studenti rifugiati si sono adattati a questo nuovo modo di fare lezione?

 

Thalia Dragona – Molti di loro provengono da contesti tradizionali in cui la scuola è molto limitata, quindi all’inizio loro non sentivano di stare in una vera classe. Nel tempo insegnanti e student_ sono diventati molto creativi. Nel corso delle lezioni di fotografia hanno creato un sito Web e caricato foto che avevano scattato dalle loro case: l’obiettivo era ripensare al significato di casa, i ricordi passati e le esperienze attuali. Il Covid-19 ha rappresentato per l’apprendimento una sfida inimmaginabile, e ha evidenziato la necessità di mettere in sicurezza le infrastrutture comunicative. Immaginando Curing the limbo in futuro, sarà probabilmente un’esperienza ibrida di apprendimento in presenza e in remoto. E questo davvero ha giovato allo sviluppo della resilienza.

Il curriculum educativo di Curing the Limbo è strettamente legato al territorio di Atene. Gli/le student_ sono incoraggiat_ a impegnarsi in quelle attività di comunità che supportano lo sviluppo della qualità della vita in città. Sono inoltre invogliati a partecipare a lezioni che si svolgono in luoghi specifici e a eventi in vari quartieri. Attualmente tutto questo non si può fare: in che modo avete garantito il coinvolgimento delle persone?

 

Harris Biskos – Fra gli aspetti principali di Curing the Limbo c’è quello di porre le persone al centro di un processo che porta alla loro inclusione nella società e nella città. Abbiamo investito molto nel costruire relazioni fra rifugiati e cittadini di Atene, gruppi di comunità, persone che operano nei loro quartieri per migliorare la vita della città. Abbiamo messo in connessione i rifugiati con queste iniziative, potenziando e supportando le attività collaborative fra loro ed Atene. Lo sviluppo di relazioni, infatti, consente ai rifugiati di integrarsi meglio nella vita della città. Noi qui lavoriamo con 20 comunità e circa 60 rifugiati collaborano a progetti partecipativi. Il momento che viviamo oggi in qualche modo interessante: il propagarsi del virus ha colpito il Progetto nella forma in corso, ma noi abbiamo iniziato a organizzare riunioni su Zoom e su gruppi Facebook per avviare una riflessione collettiva su quali attività avrebbero potuto contribuire a cambiare in meglio le condizioni di vita della città.

Qual è stato l’impatto del blocco su quelle relazioni?

 

Harris Biskos – Le difficoltà ci hanno avvicinato. Come negli anni della recessione economica, anche adesso le persone si sono raccolte fra loro. È stato necessario imparare ad usare diversi strumenti e a superare le difficoltà. I rifugiati hanno molte sfide davanti a loro, come l’accesso al wi-fi, ai computers e ai media, sono difficoltà che dobbiamo superare. Gli strumenti digitali, fra l’altro, consentono di personalizzare il modo di comunicare.

Evento di mappatura del quartiere a Victoria Square. Foto di Levente Polyak

Fra le altre cose, voi offrite supporto ai rifugiati nello sviluppare una serie di competenze per trovare lavoro. In che modo questa vostra attività è condizionata dalla situazione attuale? In che modo sta cambiando il panorama economico e come immaginate i prossimi mesi e anni?

 

Anastasia Sikiardi – Molte nostre attività le abbiamo spostate sul web: abbiamo reindirizzato la formazione relativa alla preparazione al lavoro su Zoom, e facciamo finte interviste al telefono. Quando cambiano i contesti economici le persone non sanno come accedere ai benefici specifici introdotti dallo Stato, perciò le abbiamo guidate sui passi da compiere. Abbiamo continuato a soffermarci sulle competenze necessarie da acquisire per ottenere un impiego e ci siamo anche posti l’obiettivo di entrare in contatto con specifici settori – quelli che, dovendo sottoporsi alle condizioni di blocco, si sono trovati a prolungare gli orari di lavoro, come i supermercati, la logistica o le società di consegna. In realtà 4 nostri rifugiati hanno trovato lavoro in questo periodo, ma ovviamente ce ne sono altri che hanno perso il lavoro. Dobbiamo renderci conto che molti lavori stagionali in settori come il turismo, che i rifugiati avrebbero ottenuto, non saranno più disponibili come prima. Di solito noi diciamo che il nostro compito non è procurare un lavoro, ma dare informazioni su come cercarlo. Nel campo dell’agricoltura sono in arrivo delle richieste, ad esempio, ma bisognerà anche vedere se i rifugiati sono disponibili a trasferirsi, poiché si svolgono fuori da Atene.

Mohamed, tu hai fatto un percorso molto particolare. Da quando hai smesso di lavorare per la produzione teatrale, ti occupi ancora di teatro? Quali possibilità lavorative vedi in questo settore?

 

Mohamed Tayeb – Si, quando è iniziata la diffusione del Covid-19 stavo lavorando per la produzione teatrale del Fantasma dell’Opera. Poi ci siamo trovati costretti a tornare a casa e in una condizione di blocco, in quel momento mi sono sentito davvero giù di morale. Al momento il teatro è chiuso e non ci sono notizie, non so se riproporranno lo spettacolo. La scorsa settimana, però, ho ricevuto un’offerta di lavoro da un call center. A me piacerebbe rimanere nel settore teatrale, ma bisognerà adattarsi.

Avere una casa è un’esigenza fondamentale quando ci si trasferisce in una città nuova. Curing the Limbo nasce con l’idea di utilizzare per i rifugiati appartamenti sfitti, pubblici e privati, come alloggi a contributo. Prima l’arrivo del turismo di massa e gli affitti a breve termine, poi il blocco dovuto al Covid-19 hanno avuto un impatto sulla ricerca delle case. Cosa vi aspettate per il periodo a venire?

 

Stefania Gyftopoulo – Noi siamo intermediari fra i proprietari e i beneficiari, e offriamo a entrambi una serie di servizi di supporto e garanzie finanziarie. Con il Covid-19 abbiamo ridotto le visite in presenza e abbiamo visionato gli appartamenti attraverso videochiamate. Stiamo integrando nuovi strumenti nelle attività per continuare a offrire i nostri servizi. Attualmente il settore turistico è in una fase di stallo e sul lungo periodo prevediamo un aumento del costo degli affitti, specialmente per gli appartamenti più piccoli, più o meno fino a settembre. Ma è presto per dire quale sarà l’effetto della crisi sugli appartamenti di Airbnb. Abbiamo anche rilevato un minimo calo dei prezzi degli affitti.

Edificio abbandonato al centro di Atene. Foto di Levente Polyak

Con la crisi Covid-19 abbiamo assistito a un processo di digitalizzazione forzata nel campo dell’istruzione, del lavoro e in molti altri settori della vita sociale. Anche voi avete dovuto trasferire molte delle vostre attività online. Quali effetti potrebbe avere, secondo voi, l’implementazione delle tecnologie digitali sulle relazioni che si sono instaurate fra voi e i partecipanti di Curing the Limbo?

 

Thalia Dragona – Gli strumenti digitali non possono sostituire le relazioni umane, ma è interessante vedere in che modo si potrebbe adattare questa esperienza a nuove condizioni. La tecnologia ha un grande potenziale di creatività: il contatto umano è insostituibile, ma non bisogna leggerla come una situazione “o/o”.

In paesi come l’Ungheria il governo ha tentato di attribuire ai migranti e agli studenti stranieri la colpa dell’arrivo del Coronavirus. Durante il periodo di blocco ad Atene avete percepito dei cambiamenti particolari nell’atteggiamento dei cittadini verso i rifugiati?

 

Thalia Dragona – Prima del Covid-19 erano c’erano molte discussioni sui rifugiati rispetto alle questioni della frontiera, con relativa stigmatizzazione e pregiudizio. La condizione di blocco ha spostato l’attenzione: questa animosità nei loro confronti è diminuita, ha fermato un’escalation di xenofobia. Ma credo che ritornerà. In ogni caso, è stato dimostrato che non è un diseredato il portatore del virus – ma il contrario, il virus ha colpito per prime queste persone.

Le attività di comunità organizzate da gruppi di quartiere e le iniziative de_ cittadin_ sono centrali nel vostro Progetto. Ritenete che questo tipo di attività saranno rafforzate, dopo l’esperienza di un nuovo tipo di solidarietà sociale?

 

Harris Biskos – Per rispondere alla crisi la comunità di Atene e i gruppi sociali hanno messo in campo molte attività: distribuzione del cibo, produzione di mascherine per il viso, donazione del sangue. Molti di queste attività sono state rafforzate. Questo periodo valorizzerà gli sforzi de_ cittadin_ e credo ci sarà più spazio per la società civile che vorrà trovare soluzioni non evidenti alle istituzioni cittadine e statali. Penso ci saranno proposte innovative.

Qual è lezione che vi portate a casa rispetto a Curing the Limbo dopo questi ultimi mesi?

 

Antigone Kotanidi – Stiamo lavorando a un progetto-pilota, attualmente. Siamo abituati a cambiare metodologie e ad adattarci in modo flessibile al contesto. Siamo riusciti a restare in contatto con molte persone e ci siamo resi conto quanto grande sia il nostro impegno. Il trasferimento on-line dei servizi ci consentirà di coinvolgere nelle attività un maggior numero di persone, quelle che prima non riuscivano a partecipare. Alla fine abbiamo fiducia nel fatto che ci ritroveremo grandi strumenti per il nostro Programma di integrazione sui rifugiati.

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