Nel 2014 il Comune di Milano e Fondazione Cariplo hanno siglato un accordo per la definizione e l’adozione della Food Policy: la strategia alimentare di Milano. L’adozione è avvenuta nel 2015, quando il Comune di Milano ha lanciato anche Il Milan Urban Food Policy Pact, il primo patto internazionale sule politiche alimentari urbane, sottoscritto a oggi da 163 città di tutto il mondo. Il Food Policy Pact impegna i sindaci a lavorare per rendere sostenibili i sistemi alimentari, garantire cibo sano e accessibile a tutti, preservare la biodiversità, lottare contro lo spreco.
“Ripensare le relazioni con la fascia periurbana, significa valorizzare il potenziale produttivo di quell’area e riconoscerne l’enorme valore ambientale.”
Come nasce la Food Policy di Milano?
La Food policy è uno strumento che a livello internazionale le città pioniere hanno adottato a partire dagli anni 2000, e in alcuni casi anche prima, sviluppando politiche olistiche sul sistema alimentare. Queste politiche vanno oltre la mera amministrazione di una città, e intercettano tutta una serie di leve esistenti a livello urbano: dagli acquisti pubblici al potere dei regolamenti, dalle politiche educative alla logistica. Le città possono mettere in atto interventi che permettono di rendere più sostenibili alcune parti del sistema alimentare: dalla produzione nelle fasce peri-urbane, alla trasformazione nelle imprese che agiscono negli ambiti urbani, peri-urbani e metropolitani, dalla logistica delle merci alla grande, piccola e media distribuzione, al consumo istituzionale e privato.
Per quanto riguarda la dimensione istituzionale si tratta di mense nelle scuole, nelle carceri, nelle case di riposo e negli ospedali, ma anche di gestione di scarti e rifiuti, la cui raccolta consente di innescare processi di economia circolare. Su ciascuno di questi temi le città possono avere alcune competenze dirette o indirette.
La Food Policy di Milano nasce e nel 2014 con la firma de protocollo d’intesa tra Comune di Milano e Fondazione Cariplo. Il protocollo della durata di cinque anni: dal 2015 al 2020, quindi da un Expo all’altro, comprende una serie di azioni sul sistema alimentare della città. La Food Policy si è basata sul lavoro di analisi del sistema alimentare cittadino elaborato da un centro di ricerca esterno. Questo studio ha fatto emergere le relazioni tra i vari attori cittadini e la complessità di competenze e di azioni che l’amministrazione stava portando avanti su tema del cibo in modo settoriale. L’intento era di aggregarle e integrarle in una politica sistemica. È stato quindi avviato un percorso di ascolto della città: dai centri di ricerca delle università milanesi, al mondo delle start-up, dal terzo settore, ai cittadini nei Municipi e tramite una consultazione online. Questo processo ha permesso di censire le attività, fare una mappa delle conoscenze diffuse relative al sistema alimentare e individuare le cinque priorità della Food Policy: garantire un cibo sano e accessibile, lavorare sulla sostenibilità del sistema alimentare, sull’educazione alimentare, sulla lotta agli sprechi e sulla ricerca in ambito agroalimentare locale. Ciascuna di queste priorità si articola in indirizzi dell’amministrazione e in azioni concrete. La Food Policy è stata approvata dal Consiglio Comunale il 5 ottobre del 2015
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Come vengono coordinate le varie componenti di questo sistema?
Ci sono due modi per gestire questi tipi di politiche strategiche dal punto di vista amministrativo: le azioni relative alla food policy possono essere incardinate in un settore, ad esempio quello delle politiche ambientali o della salute, oppure essere inserite nelle attività di vertice del gabinetto del sindaco per dare loro una valenza più strategica. Nel caso di Milano è stato deciso di attribuire a me la delega operativa sulla Food Policy e costituire un gruppo di lavoro sulla Food Policy all’interno del gabinetto del Sindaco. In qualità di vicesindaco posso agire trasversalmente su tutti gli aspetti della food policy di concerto con gli assessori. Parallelamente, l’implementazione di tutte queste azioni avviene aggregando tutta una serie di altri attori della città: dalle università, alle onlus, alle imprese. Per ciascuna delle azioni abbiamo avviato attività che possono essere portate avanti secondo tre modalità principali: l’avvio di progetti che permettono all’amministrazione di introdurre modalità innovative d’azione; l’adozione di incentivi che generando impatti sugli attori privati, possano contribuire a raggiungere gli obiettivi della politica alimentare. Infine c’è il riorientamento di attività che l’amministrazione sta già facendo con l’ottica di un’armonizzazione complessiva.
Un incentivo appena approvato dal Consiglio Comunale è legato alla lotta agli sprechi: Milano è nei fatti la prima grande città ad aver attuato la possibilità offerta dalla Legge Gadda di applicare riduzioni sulla Tassa sui rifiuti alle imprese che donano le eccedenze alimentari. Il provvedimento è frutto di un lungo lavoro nel quale sono stati coinvolti anche operatori del settore privato, partecipate del Comune, attori sociali Onlus.
Le misure messe a punto prevedono la possibilità di ridurre fino al 50 per cento della quota variabile della TARI per chi avvia un “progetto di donazione” delle eccedenze coinvolgendo le associazioni che si occupano di redistribuirle. Gli incentivi sono cumulabili con altre riduzioni fino al 100 per cento della quota variabile della TARI. Abbiamo stimato che i potenziali donatori, bar, negozi, supermercati, mense, siano oltre 10 mila.
Un’altra importante leva per la Food Policy del Comune di Milano sono le società partecipate. Ad esempio, Milano Ristorazione: siamo l’unica città ad avere un’unica società che controlla una grossa fetta della ristorazione pubblica: mense scolastiche, case di riposo, pasti a domicilio. Questa società serve 17 milioni di pasti l’anno, oltre 85.000 pasti al giorno, possiede 24 centri di cottura in tutta la città. A differenza di altre città europee, tra cui Berlino, Parigi, Madrid e Londra, che dispongono di strutture più decentrate e più autonome, Milano Ristorazione è controllata dal Comune di Milano e gestisce tutto il sistema. È un unicum anche in Italia, deriva dalla storia istituzionale di questa città, che ha sempre gestito con personale comunale le mense e fa gli acquisti pubblici direttamente. Uno dei progetti che stiamo facendo insieme a loro e insieme a tutta una serie di altri attori della città è quella di modificare parte di questi acquisti, coinvolgendo i produttori locali.
Altre società importanti sono MM, Metropolitana Milanese, che gestisce il sistema idrico della città, AMSA, che gestisce tutta la raccolta dei rifiuti e AMAT, un’agenzia pubblica del Comune che si occupa di monitoraggi e consulenza ambientale. AMAT insieme alla direzione Entrate dell’assessorato al Bilancio, alla direzione Economia Urbana dell’Assessorato alle Attività Produttive ha fatto parte del tavolo di lavoro che ho convocato per studiare le riduzioni sulla TARI.
Un altro esempio di coordinamento interno all’amministrazione è il lavoro messo in atto per riorientare gli acquisti pubblici della ristorazione istituzionale.
Milano ha un grande patrimonio agricolo direttamente all’interno del perimetro del Comune, come state agendo sui temi delle filiere locali?
Con una serie di attori stiamo cercando di promuovere investimenti nell’agricoltura peri-urbana della città, in aree dove si possono attuare transizioni produttive da monocultura a orticole: questo permetterebbe a Milano Ristorazione di acquistare più prodotti locali.
Già nel 2016 la Food Policy con Milano Ristorazione ha avviato una sperimentazione cha ha coinvolto il consorzio DAM, un distretto agricolo che raccoglie una trentina delle 90 aziende con sede legale dentro il comune di Milano. I produttori del DAM hanno fornito a Milano Ristorazione 1800 quintali di riso, il fabbisogno dell’intero anno scolastico. Questo ha permesso agli agricoltori di comprendere meglio le esigenze di una grande azienda di ristorazione pubblica che ha bisogno, ad esempio di riso parboiled, e di accrescere la loro capacità organizzativa.
Quello che stiamo cercando di fare è di ampliare la possibilità per Milano Ristorazione di rifornirsi di prodotti del territorio, coinvolgendo tutti i distretti e le rappresentanze di categoria degli agricoltori, anche attraverso i bandi del Programma di Sviluppo Regionale (PSR) gestito dalla Regione sul secondo pilastro della PAC, la Politica Agricola Comune dell’Unione Europea. Attraverso alcune opportunità del PSR stiamo cercando di estendere l’esperienza del riso ad altre 19 filiere coinvolgendo i Distretti e le Rappresentanze: si tratta di 1200 tonnellate di cibo biologico e tradizionale, in prevalenza ortaggi. Il tema principale è come aggregare l’offerta, e per fare questo esistono i distretti agricoli che sono uno strumento istituzionale e le rappresentanze di categoria degli agricoltori. All’interno del Comune, c’è il DAM, ma nell’area periurbana ce ne sono altri quattro: Riso e Rane, nella zona sudovest; Dinamo; il distretto della Valle Olona nella zona nord; e il distretto dell’Adda Martesana, nella zona est. Sono dei raggruppamenti di medie aziende agricole. Più riescono ad aggregarsi maggiore è la possibilità per loro di sviluppare strategie comuni. Questo sistema di aggregazione distrettuale permette anche di agire sulla relazione città-campagna, sulla coesione territoriale e sulla scala metropolitana, uscendo dal perimetro amministrativo della città all’interno del quale si concentrano i consumi per andare a toccare il territorio all’interno del quale si concentra l’offerta.
Con quali attori avete instaurato una collaborazione ed in che modalità?
Molte città nel mondo si sono dotate di un consiglio del cibo, un food council,. A Milano all’interno della Food Policy si è immaginato il Consiglio Metropolitano del Cibo, sui cui si sta ragionando: la dimensione metropolitana permette di allargare il raggio d’azione delle politiche. I Food Council creano uno spazio di dibattito e di decisione inclusivo tra attori dell’amministrazione, della società civile, del settore privato, delle partecipate e del mondo della ricerca. Questi cinque player rappresentano insieme i diversi elementi del sistema alimentare. Il Comune ha competenze su alcuni di questi elementi, ma non può agire da solo perché il tema del cibo è complesso e comporta molte sfide che vanno affrontate con un processo il più possibile integrato e inclusivo.
Con alcuni attori abbiamo anche fatto degli accordi da cui sono nati dei protocolli di intesa a livello specifico. Ad esempio ne abbiamo firmato uno con Assolombarda e con il Politecnico di Milano per dar vita ad un progetto pilota che avvia un circuito breve di recupero e redistribuzione dell’eccedenze alimentari. Il piano è di raccogliere e redistribuire il cibo all’interno di una zona della città: il municipio 9. L’idea è che le imprese aderenti ad Assolombarda1, con sede in quella zona, conferiscano i pasti non consumati nelle mense aziendali, mentre i supermercati donino i prodotti in eccedenza. Il cibo raccolto verrà conferito in un hub e consegnato alle associazioni di zona che si occupano dell’assistenza alle persone in difficoltà. Il Politecnico ha la funzione di studiare sia i flussi di eccedenze, sia il modello logistico migliore per far sì che le operazioni di raccolta e redistribuzione avvengano nella maniera più efficiente. Questa iniziativa diventerà un laboratorio per testare il modo di relazionarsi tra questi attori, e potrà essere estesa anche ad altre realtà, ad esempio i mercati rionali scoperti, e ad altre zone.
In alcuni mercati scoperti ci sono già associazioni di volontari attive nel recupero della frutta e della verdura che gli ambulanti non sono riusciti a vendere durante la giornata. Prodotti che vengono redistribuiti direttamente in loco alle persone o alle organizzazioni del terzo settore.
AMSA invece, interviene a valle, con la raccolta della frazione organica non più commestibile. La sperimentazione avviata nel 2016 su 15 mercati ha avuto un grande successo ed entro la fine del 2018 la raccolta sarà a regime su tutti i 90 mercati.
In generale secondo le regole dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC), ogni organizzazione è chiamata a rispondere della selezione degli attori con i quali decide di interagire. Il Comune di Milano sta sviluppando una serie di progettualità e di strumenti per garantire la trasparenza. La procedura consiste nella pubblicazione di avvisi pubblici su un tema o un’azione specifici invitando gli attori interessati ad inviare un’auto candidatura. Stiamo applicando questo processo alla creazione dei partenariati nei progetti di cui siamo capofila, e alla definizione di protocolli per l’individuazione di attori che andranno a gestire operativamente alcuni pezzi di queste sperimentazioni. Una procedura nata con fini meramente amministrativi che nella realtà si sta rivelando uno strumento molto potente. Ai candidati viene sempre chiesto anche di interpretare l’obiettivo descritto nella richiesta alla luce delle proprie competenze, e questo permette di far emergere aspetti davvero interessanti.
Un esempio è il progetto OpenAgri, che il Comune sta sviluppando nella parte sud della città grazie al bando europeo Urban Innovative Actions. Verrà ristrutturata una cascina abbandonata di proprietà pubblica all’interno di 30 ettari di terreno agricolo. Per la selezione di partner e per scrivere questa proposta è stato fatto un avviso pubblico al quale hanno risposto in molti con varie idee, che il Comune ha poi aggregato. Questo ha permesso di sviluppare un progetto vincente da 6 milioni di euro per avviare una serie di attività innovative nel campo dell’agricoltura periurbana. Per assegnare i 30 ettari di terreni ad attori locali è stato fatto un altro avviso pubblico di auto-candidatura alla gestione di parte di questi lotti sui quali lanciare attività sperimentali. Un’iniziativa che sta facendo nascere start-up estremamente innovative dall’acquaponica all’economia circolare che rispondono a molti obiettivi delle politiche urbane.
Quali sono le principali fonti di finanziamento che consentono di portare aventi queste sperimentazioni?
Bandi europei, attività ordinarie, bandi della Fondazione Cariplo, e di Regione Lombardia: cerchiamo di intercettare tutti gli attori e finanziatori che agiscono nel territorio. La sfida per il futuro è trasformare le azioni della Food Policy in attività ordinarie, e far sì che possano essere messe a disposizione risorse direttamente nel bilancio comunale. Lo stiamo facendo con la TARI: agire sulla riduzione di questa tassa creerà un mancato reddito per il Comune che dovrà essere controbilanciato da un risparmio, ad esempio la minore raccolta di rifiuti. Il tema del finanziamento delle attività è cruciale, i bandi europei restano le principali fonti per il momento. Ci sono i LIFE che permettono di agire sul sistema ambientale, gli Urban Innovative Actions, che permettono di sviluppare degli investimenti sulle infrastrutture, e ci sono finanziamenti della PAC, che permettono di agire nell’agricoltura peri-urbana.
Nel corso degli ultimi anni il Comune ha fatto dei lavori sulle ristrutturazioni, sul riposizionamento e sulla reinvenzione dei mercati, come rientrano nella Food Policy queste azioni?
A fine 2017 la giunta ha approvato le linee di indirizzo per la riqualificazione di 23 mercati comunali coperti partendo dalle esperienze positive del Mercato del Lorenteggio, del Suffragio, della Darsena e di Piazza Wagner. Lì con modalità diverse, che hanno visto il coinvolgimento di consorzi di commercianti e associazioni culturali, si è riuscito a creare luoghi dove si acquista e si consuma il cibo in modo diverso, e dove soprattutto si contribuisce a riscrivere le relazioni con il quartiere. A cambiare è il concetto stesso di mercato: non più solo luoghi dove si scambiano prodotti, ma idee. Dove forte è la finalità sociale, culturale e aggregativa.
Milano tra 10 anni?
Questa città ha dimostrato in soli due o tre anni, a cavallo di EXPO, di poter fare dei passi avanti molto in fretta. I temi del cibo sono molto complessi richiedono un cambio di prospettiva e di modalità d’azione. Credo che Milano tra 10 anni potrà essere sicuramente tra le città che hanno compiuto grandi passi avanti sula sostenibilità delle diete, sulla lotta allo spreco, sui rapporti tra aree urbane e rurali. Ripensare le relazioni con la fascia periurbana, significa valorizzare il potenziale produttivo di quell’area e riconoscerne l’enorme valore ambientale. Se i bambini a scuola mangiano il riso o le zucchine prodotte nei campi intorno alla loro città, daranno a quel cibo e alla terra su cui è prodotto un valore diverso. Molto più alto.
Intervista con Anna Scavuzzo, Vicesindaco di Milano con delega al coordinamento della Food Policy di Milano