Il Mercato Lorenteggio si insedia nel quartiere Giambellino-Lorenteggio nella periferia sud-ovest di Milano. L’esperienza nasce per accompagnare e valorizzare le risorse sociali e culturali di un quartiere comunemente definito ‘critico’, reinterpretandolo invece come ‘laboratorio a cielo aperto’ dalle crescenti potenzialità socio-culturali. Tramite un percorso di accompagnamento agli operatori, di animazione culturale con gli abitanti e di laboratori progettuali portati avanti con l’amministrazione pubblica, il mercato è stato riattivato e funziona oggi come spazio di aggregazione sociale del quartiere.
“La strategia di rilancio è stata di ridurre il numero di banchi senza diminuire l’offerta, mantenendo tutte le categorie merceologiche.”
Come nasce l’esperienza attuale del mercato Lorenteggio?
Mercato Lorenteggio è un’esperienza che nasce da un incontro, quello tra Dynamoscopio – associazione culturale – e i commercianti di un mercato comunale di periferia in crisi. Nasce da un rapporto fiduciario e di vicinanza instaurato con un lungo processo, cominciato nel 2012 quando la nostra associazione stava girando un film nel quartiere Giambellino-Lorenteggio (Entroterra Giambellino). Un esperimento, quello del film, chiamato immaginariesplorazioni (oggi alla sua terza edizione con Potlach Milano) che ha coinvolto centri d’aggregazione giovanile, abitanti del quartiere, filmmaker e ricercatori in un laboratorio di racconto collettivo di una periferia contemporanea. Quando siamo entrati al Mercato per la prima volta, ancora con le telecamere in mano, siamo venuti a conoscenza che l’Amministrazione aveva in progetto di rinnovare la concessione dello stabile a favore di un nuovo soggetto della grande distribuzione – un discount – , in linea con una visione più ampia di dismissione/alienazione di questo patrimonio pubblico nella città di Milano. Nel quartiere cominciò una campagna di raccolta firme alla quale partecipammo come associazione, avvicinandoci molto ai commercianti del Mercato.
Come si sviluppò il rapporto con l’amministrazione?
Con il cambio di giunta ci fu un’inversione di strategia sui mercati coperti, riaprendo così la possibilità per i vecchi esercenti di concorrere per la gestione del Mercato Lorenteggio. Fu emanato un nuovo bando di assegnazione che chiedeva però la costituzione di un soggetto unico come assegnatario e gestore della struttura. Fu così che i commercianti fondarono il Consorzio Commercianti Mercato Lorenteggio, che si assumeva in forma collettiva l’onere delle spese di ristrutturazione della struttura ripartendole tra i singoli esercenti in quote sulla base dei millesimi di superficie occupati da ciascuno. La ristrutturazione del Mercato era – ed è – condizione vincolante per l’assegnazione del Mercato. Il pavimento che vedete adesso non c’era, il soffitto, le finestre, gli intonaci: era una struttura molto compromessa e vetusta.
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Come hanno fatto i commercianti a fare fronte alle spese?
Quando è stato costituito il consorzio, l’operatore Vito Landillo, il macellaio di carne equina, si propose di prendere in carico oltre il 40% della superficie del mercato per farci un laboratorio di trasformazione della carne nell’ottica di diventare distributore, occupando la superficie corrispondente agli stalli all’epoca vuoti. In questo modo si è superata la criticità del reperimento di altri operatori lasciando così il Mercato con un grosso investimento economico e pochi (ma buoni) operatori a sostenerlo. Una scelta che è il riflesso di un trend generale. Un tempo nel mercato vi erano due panettieri, due macellai, due fruttivendoli…oggi, invece, siamo difronte a una crisi (che prefigura innovazione) del commercio di prossimità: da un lato i Mercati Comunali sono in forte sofferenza a causa della competizione con la grande distribuzione, dall’altro la crisi economica ha limitato moltissimo la capacità di investimento dei piccoli attori economici. Queste condizioni, va da sé, avrebbero potuto pregiudicare fortemente la possibilità di attirare nel Mercato altri operatori. La strategia fu quella di ridurre il numero di operatori, senza diminuire l’offerta, mantenendo tutte le categorie merceologiche. La presenza di stalli vitali è fortemente comunicativa. Quando entravi prima ogni due banchi avevi una serranda chiusa… non certo una situazione attrattiva. La sostenibilità economica di questa impresa – per quanto riguarda l’animazione dello spazio culturale – è sostenuta anche grazie a finanziamenti a fondo perduto. Inizialmente avevamo alle spalle un finanziamento di Fondazione Cariplo, per un progetto di sviluppo culturale di ambiti periferici chiamato Dencity. Poi abbiamo intercettato un altro bando, Culturability di Fondazione Unipolis, che ha contribuito a sviluppare e strutturare il ‘modello’ MLO – Mercato Lorenteggio.
Che tipo di sperimentazioni avete portato avanti assieme agli operatori?
Qui stiamo lavorando per rafforzare gli assi strategici che possono fare di Mercato Lorenteggio (così come di altri mercati rionali) una piazza sociale cittadina e di quartiere. Uno di questi è la possibilità di introdurre elementi di somministrazione non assistita, che ad oggi è uno dei temi capaci di attirare (e far sedere allo stesso tavolo) popolazioni anche molto diverse.
Non si viene al mercato a solo a comprare (la concorrenza della grande distribuzione e della sua logistica sono difficilmente superabili), ma si può venire qua a mangiare e fare “un’esperienza sociale nel mondo reale”. Rispetto ai prodotti commerciali stiamo lavorando su una linea di prodotti che chiamiamo D.O.P. (Di Origine Popolare). Linea costruita insieme a Spazio Fuori Mercato e a dei produttori che fanno parte delle catene alternative di distribuzione e produzione. Ogni banco venderà prodotti che servono per attirare del pubblico un diverso da quello classico del mercato, diversificando i prodotti e proponendo una linea a responsabilità sociale che speriamo nel tempo essere sempre più presente.
Che altre attività avete portato avanti nel mercato e come le sostenete?
Qui facciamo mostre e laboratori. Abbiamo tutti un rapporto molto forte con gli abitanti, che sono coinvolti nella vita di questo luogo. Ad esempio il laboratorio di cucito creativo di Ulla Manzoni. Un’artista straordinaria nascosta nelle case popolari qui davanti. Abbiamo scoperto questa sua competenza di fare delle creazioni con la lana che ha permesso di attivare qua nel mercato tutti i mercoledì un laboratorio popolare gratuito: la Gugliata del Giambellino. Un laboratorio aperto a tutti italiani e stranieri, giovani e anziani, del quartiere e non. Come associazione cerchiamo di attivare dei percorsi di questo genere, perché pensiamo che il modo per restituire cultura a determinati territori che per anni sono stati etichettati come non portatori di cultura sia, invece, quello di valorizzare cultura di cui sono loro stessi portatori. Non ci interessa il ‘grande artista’, ma cerchiamo di avere un approccio emersivo nei confronti delle competenze espresse nel territorio. Attiviamo dei percorsi con queste persone, riscopriamo le loro capacità, le facciamo salire sul palco diventando produttori di cultura, e poi restituiamo al quartiere con mostre, momenti pubblici, laboratori… con quello che ne viene fuori, che valorizza il percorso di chi ha fatto queste esperienze.
Intervista con Jacopo Lareno Faccini